Pensiero critico di Patrizia Serra sulle fughe musicali di Fernanda Fedi​

Pensiero critico di Patrizia Serra sulle fughe musicali di Fernanda Fedi

Memoria e trasgressione in Fernanda Fedi

Patrizia Serra, presentazione Palazzo dei Diamanti, Galleria Massari I, Ferrara, 1988

Nel suo rapporto con il segno Fernanda Fedi ha sempre avuto presente l’importanza della struttura formale della pagina. Lo spazio, dunque, viene affrontato ricercandone l’intima compostezza, con una misura visiva che tende ad un minimale spostamento percettivo.

Ecco perché l’artista sente il fascino della struttura “lirica” dell’Haiku, questa piccola misura dedicata a segnare il trascorrere del tempo e delle stagioni, remota ed intangibile a sentimenti non contemplativi.

L’Haiku ben rappresenta, per questo, il bisogno di trovare un piano espressivo lontano dalla visceralità liberatoria che spesso in questi ultimi anni ha accompagnato l’estendersi del gesto, ma anche del segno.

Ma in questo caso è un modo misurato e lirico di riguadagnare il terreno perduto della pittura, ritrovando la trasparenza e la profondità del colore, senza perdere l’intima concentrazione che decanta le strutture formali che si misurano e si sovrappongono all’interno dell’immagine stessa. Il colore, il segno, la parola, sono sospesi ad una stratificazione visiva, in un equilibrio lirico in cui tutto si fonde e trasgredisce quella che era in origine la sua funzione.

La profondità del colore si tesse nell’estensione del segno che delinea spazi e valori diversi, in un positivo negativo pittorico che varia sottilmente la qualità visiva dell’immagine.

Mentre il segno “grafia” trova un continuo rapporto con il segno “parola”, guizza nella pagina concorrendo ad un’immagine slegata dalla descrizione, ma strettamente connessa al senso complessivo di un porsi mentale, di un guadagnare quella distanza dal tempo che sta alla base dell’esistenza stessa dell’ “Haiku”.

Sottili interventi di carta velina decantano questo stratificarsi di un’unica grafia che risolve nella presenza dell’oggetto una testimonianza di presenza interiore.

Viene così a definirsi un rapporto con l’immagine che è memoria e trasgressione ad un tempo, e che ritroviamo nei grandi lavori: trasparenti colonne distorte.

Il segno filante e nervoso tesse continuamente lo spazio di questi elementi che si depongono alla parete scandendola in un ritmo preciso. La doppia superficie trasparente aumenta la possibilità di stratificare la visione, perché le due superfici sono distoniche. Infatti, non solo le due “pagine” definiscono uno strato interno vuoto, ma la carta e la materia trasparente rispondono diversamente al segno ed alla parola, suggerendo la possibilità di una ritrascrizione continua ed invadente.

Assai diverse dalle grandi pareti che le precedono, ma vicine ai “libri”, esse giuocano con la nostra idea di pergamena, di stele, di parete graffiata, ed in questo modo ritrovano nello spazio quella misura di “remota” contemplazione, che è equilibrio e memoria.

Così si ricostituisce l’unità di intuizioni che è alla base di questa fase di ricerca di Fernanda Fedi, una ricerca in cui le componenti espressive sono tutte tese negli elementi di una forma lirica che trova la sua misura nella contemplazione.

 

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